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QUANTO SIAMO PRECISI NELL'ESPRIMERCI OGNI GIORNO?

ABBIAMO MAI RIFLETTUTO SU QUANTO SIANO SCONTATI PER NOI I SIGNIFICATI DELLE PAROLE CHE UTILIZZIAMO QUOTIDIANAMENTE?

 

Negli anni 60, il maggior esponente della scuola di Palo Alto, Paul Watzlawick, in Pragmatica della comunicazione umana, affermava che “sono distinguibili due realtà, una delle quali è oggettiva ed esterna, e un’altra che è il risultato delle nostre opinioni sul mondo." Ogni persona deve sintetizzare queste due realtà ed è questa sintesi che determina convinzioni, pregiudizi, valutazioni e distorsionI”.

 

Ebbene sì, per quanto intorno a noi ci sia una realtà ben definita, ciascuno di noi la costruisce continuamente attribuendole significati assolutamente personali.

 

Pensiamo ad esempio a due persone che ripensano alla serata appena trascorsa insieme: una delle due potrebbe pensare “Ieri sera mi sono davvero divertito, il posto era magnifico e c’era dell’ottima musica in quel locale! mentre l’altro potrebbe pensare Che serata noiosa … sì, posto magnifico ma musica troppo lenta”.

 

Stesse situazioni, stessi eventi, possono suscitare EMOZIONI DIVERSE in ogni persona, soprattutto quando ci sono degli elementi che si agganciano a vissuti piacevoli o spiacevoli (es. se la persona che si è divertita ha festeggiato in quel posto un evento importante per lei e ne ha un buon ricordo, l’emozione positiva vissuta sarà maggiore). La stessa dinamica avviene anche in quella classica situazione in cui andiamo al cinema per vedere quei film tanto sponsorizzati: ad alcuni piaceranno molto, ad altri non piaceranno per nulla.

 

È proprio questo, dunque, che intende Watzlawick quando afferma che una realtà è oggettiva, esterna (la serata, il film, ecc) ma un’altra è il risultato delle nostre opinioni sul mondo, del nostro vissuto, quindi decisamente soggettiva.

 

Ma andiamo nello specifico, pensiamo ad esempio alle parole che usiamo più spesso, a quelle che racchiudono i nostri valori più importanti: “Felicità, amore, fedeltà, sincerità, trasparenza, fiducia, ecc". Quando il nostro interlocutore utilizza questi termini, siamo quasi sempre noi ad attribuirgli un significato … il nostro! Come facciamo a sapere che il suo concetto di “amore” ad esempio, sia uguale al nostro?

 

A meno che non sia stato da lui già esplicitato, quello che stiamo facendo è INTERPRETARE.  

 

Se volessimo realmente sapere a cosa l’altro si sta riferendo, potremmo porgli una domanda specifica, ad esempio A quale forma d’amore ti stai riferendo in questo momento?”. Quando svolgo le mie lezioni in aula, pongo spesso questa domanda alle persone che ho di fronte e le risposte che ascolto sono davvero diverse tra di loro “L’amore per i miei figli, l’amore per il mio uomo, l’amore per il mio lavoro, l’amore per il mio gatto, ecc." Proprio per questo, laddove ci troviamo di fronte ad espressioni interpretabili, è molto importante porre domande specifiche come “COSA INTENDI SPECIFICAMENTE PER …?”.

 

Solo la risposta del nostro interlocutore può farci davvero comprendere cosa lui intenda con quel termine. 

 

Immaginiamo ora le conversazioni che abbiamo ogni giorno e pensiamo a quanto diamo per scontato che i significati che gli altri attribuiscono alle loro parole, siano uguali a nostri. Ci siamo mai chiesti quante incomprensioni scaturiscano da ciò? Pensiamo ad una coppia che litiga perché uno dei due è stato poco rispettoso verso l’altro/a: “DA TE PRETENDO RISPETTO!”. Ok, ma cosa significa? Cosa dovrebbe fare per portargli/le rispetto? Essere più puntuale agli appuntamenti, o portargli/le un regalo ogni giorno, o chiamarlo/a di più o di meno … che confusione! A meno che il significato del termine non sia già stato chiaramente esplicitato nella conversazione, sarebbe proprio il caso di chiedere “cosa intendi per rispetto, cosa vorresti che facessi nello specifico?”.

 

La risposta che ne deve conseguire deve descrivere dei COMPORTAMENTI, altrimenti stiamo rimanendo ancora sul vago e sull’indefinito, risolvendo ben poco.

 

Le stesse dinamiche avvengono ogni giorno in famiglia, sul lavoro … sì sul lavoro. Soprattutto nel passaggio d’informazioni tra le persone in azienda … quando i messaggi non sono chiari, ecco che si genera confusione, dispersione, perdita di tempo e calo della produttività!

 

Ecco perché è importante porre, IN MANIERA ETICA E MAI INVADENTE, domande specifiche, spesso serve anche ad ottenere le informazioni più dettagliate che ci servono .

 

Se un cliente ci chiede di fissare presto un appuntamento, ad esempio, sarebbe opportuno domandargli “Quanto presto?”. Magari per noi “presto” potrebbe essere la prossima settimana ma per lui potrebbe essere domani … dunque, questo è quello che Watzlawick intendeva quando diceva che “è la comunicazione a produrre le interazioni patologiche”.

 

Nel lavoro quotidiano con i miei pazienti, oggetto dei colloqui sono spesso dinamiche relazionali confuse, problematiche, derivanti proprio da interpretazioni di questo tipo.

 

LE DIFFICOLTÀ NEI RAPPORTI DERIVANO QUASI SEMPRE DAL PENSARE CHE LA REALTÀ SIA ESCLUSIVAMENTE COME LA PERCEPIAMO NOI, CON QUELLE IMMAGINI, CON QUEI SUONI, CON QUELLE SENSAZIONI, CON QUEI SIGNIFICATI CHE FINORA ABBIAMO ATTRIBUITO ALLE PAROLE, AGLI EVENTI, AL MONDO.

 

Prendere in considerazione l’ipotesi che la realtà sia diversa per ciascuno di noi, e che sia quindi “costruita”, ci permette di calarci nei panni dell’altro e di comprenderne meglio il vissuto, il punto di vista, la sua esperienza. Ecco come nasce l’empatia. Ecco come si ristabilisce l’equilibrio nelle relazioni.

 

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